Libia

 

 

Una delle domande più frequenti che mi viene posta quando racconto della mia sete di deserto è la seguente: Cosa si nasconde dietro al bisogno di andare di propria volontà a soffrire e intristirsi in quel vuoto arido e torrido?

Altri, convinti di essere più acuti e comprensivi, mi porgono un appiglio caritatevole: Forse vuoi andare nel deserto con l’intento di meditare tranquillamente, “fare il punto” e trovare un nuovo te stesso.

Ma tutti, indipendentemente dalla forma assunta dalla loro incomprensione raggiungono lo stesso obiettivo, ponendomi il quesito decisivo: Ma come ti è potuto accadere, nel deserto c’è solo sabbia.

Quando mi reco nel Sahara, non è certo per una voglia di fuga, per scappare dai miei simili occidentali ne tantomeno per “ritrovare me stesso” o per provare l’ebbrezza del disagio, della difficoltà.

Raggiungere luoghi così lontani per “godere” esclusivamente di sollecitazioni fisiche dovute alle ruote della moto che corrono sulla Tole Ondulee mi sembrerebbe uno spreco.

Preferisco lasciarmi assorbire dal deserto e realizzarvi i miei sogni da  bambino, aprire la mente lasciando scatenare il desiderio di esplorazione alimentato da un’insaziabile curiosità.

Una delle definizioni di Sahara è “deserto dei deserti” e questo perché tra tutti i deserti del mondo è l’unico a racchiudere una varietà e complessità del territorio difficilmente descrivibile brevemente con : Distesa di sabbia.
Per convincersene basta dare un occhio a quello che si può trovare nei 2000 km che separano l’Atlante o il Mediterraneo dal Lago Ciad o dalle rive del Niger, scavalcando il Sahara da est a ovest come facevano i pellegrini quando si recavano alla Mecca
Paesaggi Lunari: Cordoni di dune fulve o arancioni, immense distese piatte giallastre o nerastre, striate di nervature chiare, falesie e altipiani, incisi di gole o burroni, affioramenti rocciosi a forma di tavolati o di groppe arrotondate. Vere e proprie catene montuose dall’aspetto vulcanico. Tra questi palmeti, letti di wadi, piccoli agglomerati urbani e zone semisteppiche. Tutto questo tra la sfumatura di aree di “deserto vero” omogeneo e con superficie ben più ridotta.
Tutti questi contrasti evidenziano la singolarità del Sahara, la dismisura l’estrema diversità, l’aridità pronunciata, un capolavoro della natura.
Il Sahara, un mare di dune, una facile somiglianza quella delle dune, con le onde dell’oceano. Ma mettendo a comun denominatore Deserto e mare si rischia di “insabbiare” nella monotonia un universo minerale lungi dal poter essere riassunto in un cumulo inesplorato di mucchi di silice.
Ricordiamoci che seppur la sabbia sia presente in abbondanza, la superfici sabbiose del Sahara rappresentano meno del 20% della sua superficie totale.

Una terra da scoprire, dove fermarsi, dove incamminarsi. Forse è per questo che Wilfred Thesiger ha scritto:

 

Nessun uomo, dopo aver vissuto questa vita, può restare lo stesso. Porterà incisa per sempre dentro di sé l’impronta del deserto, in cui il nomade è marchiato a fuoco, mentre il più profondo dei suoi desideri, lancinante o vago, a seconda del suo carattere, è quello di tornarvi.

 

 

 

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