Il Dierrezetone.

Le sei, suona la sveglia. Quella maledetta sveglia cellulofona che tutte le mattine rintocca l’ora in cui, come gli zombie di Romero devo abbandonare il letto per recarmi al lavoro.
 

È venerdì ammetto che solitamente la sveglia mi rompe le scatole un pò più tardi, il che mi mette ancor più in uno stato d’agitazione interiore. Che ci faccio già alzato, quando attorno a me i lupi mannari non hanno ancora smesso di pascolare per le vie delle città in cerca di cibo?
Ci devo pensare molto, almeno cinque secondi, prima di connettere il cervello sul viaggio in treno che m’aspetta per raggiungere Piombino.
Piombino, cittadina balcone sul mare, porta della splendida isola d’Elba sulla nostra penisola che ospita in questi giorni, tra le calde mura di un concessionario Toscano il mio nuovo, usato Dierrezeta quattrocento, una E per di più. Merda, l’ho comprato, è vero.  Quasi faccio fatica a crederci. Sono passati solo cinque giorni da, quando ho trattato il tutto. Sono passate solo centoventi ore dal momento in cui ho alzato il telefono e acquistato il “motore”.
Telefono? Ho acquistato una moto per telefono? Sono proprio un coglione. Ma chi cazzo la comprerebbe una moto per telefono? Chi è quel cerebroleso che si farebbe fregare on-line. Io.
Dopo circa un mese di ricerca tra siti più o meno conosciuti. Riviste specializzate, annunci sulle bacheche dei negozi, nei locali, sulle porte dei cessi degli autogril senza alcun risultato, ho avuto il colpo di fulmine guardando delle foto.
Dio mio, quelle foto, guardate come se fossero l’immagine della nuova velina di Striscia la Notizia, mi hanno colpito, mi hanno reso inquieto per tutto un week-end.
Il supplizio poteva durare meno, poteva durare due giorni meno, ben quarantotto ore, invece No. Sabato mattina, il tentativo disperato di contattare il concessionario Toscano fallisce. Una fredda e asettica segreteria telefonica spazza via la mia tranquillità, la mia certezza: Il concessionario è chiuso, si prega di richiamare lunedì. Noooooooo!!! Non ci posso credere, destino infame, dovrò aspettare in uno stato di coma vigile fino a Lunedì.
Ho una paura fottuta che qualcuno passi la notte davanti alla vetrina del negozio e la mattina di lunedì alle otto in punto, mi freghi l’affare.
Il week-end trascorre all’insegna della follia pura: Conto i secondi che mancano all’apertura del concessionario, pregando il Signore che nessuno veda l’annuncio su moto.it relativo a quella che “dovrà” diventare la mia moto. Accendo la radio e metto su radio Maria, sperando che possa trattarsi di un fioretto abbastanza punitivo, una fustigazione sufficiente a farmi meritare la fortuna di poter acquistare “el Mutur”.
Domenica vado a dormire in uno stato d’agitazione pre esame di maturità. Durante il sonno sudo come un Sambernardo dentro una sauna svedese.
Il sonno è disturbato da sogni orribili, degni di un horror di Wes Craven.
Gente sconosciuta s’avvicina al mio Dierrezeta che è solo sulla spiaggia di Piombino. Si avvicinano piano, hanno dei lunghi impermeabili e delle chiavi Usag in mano. Temo vogliano sodomizzarlo, privarlo delle carene e godere della sua verginità. Spanargli tutte le viti.  Bastardi!
Questi prendono delle bombolette di vernice rosso sangue e come dei Writer di periferia sbombolano sul mio serbatoio giallo la terribile scritta: Venduta. Ridono e se ne vanno. Io corro verso la moto cadendo cinque o sei volte con la faccia nella sabbia. Non vedo più una mazza, ho la sabbia in bocca e l’immagine è offuscata. Quando arrivo verso quella che prima era la sagoma del DR vedo ora invece s’è trasformata in un KTM. Che incubo.
Mi agito, scalpito tirando delle craniate sul muro finche non mi sveglio.
È Lunedì sono le 7:59. Mi lancio verso il demoniaco cellulare, prima che faccia suonare la sveglia. Compongo il numero che ormai ho imparato a memoria: Squilla, squilla ma non risponde nessuno. Ecco, lo sapevo, quel bastardo che s’è appostato davanti al negozio sta disturbando l’ingresso degli impiegati non permettendomi di fregarlo sul tempo.
Quanto vorrei essere li davanti per dargli un pugno sul grugno.
 
Ore 8:00. Risponde: “Buongiorno, sono Simone Monticelli, c’era nessuno davanti alla sua vetrina? Ehm, scusi, intendevo, ci siamo sentiti settimana scorsa per quel DRZ, mi ha mandato delle bellissime foto, n’evvero che l’avete ancora?”. Il signore che sta dall’altra parte risponde in maniera molto calda: “Oh, sih, il Dierreteah, leh ancorah qui”. Non ci metto più di trenta nano secondi a fermarlo subito: “lo compro. Mi fido di lei, e del bel sedere che mostra quel DRZ in foto. Vengo a ritirarlo venerdì prossimo.”
Ed ora eccomi qui. È il grande giorno, è venerdì 23 Novembre, il mio treno per Piombino parte alle 7:15. Dall’emozione sarò in stazione alle 6:45, mezz’ora prima. Povera Lucia che m’ha dovuto accompagnare.
Per ingannare l’attesa compro una rivista di moto. Riders. Avevo comprato il primo numero, mi aveva fatto letteralmente cagare. Mi sembrava una rivista finta, più pubblicità che altro. Questo numero invece me lo mangio letteralmente, quasi non m’accorgo d’essere arrivato, infatti, alzo gli occhi e sono le undici circa, devo prendere l’autobus per Piombino.
Ora non riesco davvero a stare nella pelle, il cielo non promette nulla di buono, dei grandi e neri nuvolosi sovrastano tutta la zona. Prenderò l’acqua quasi certamente tornando a casa, ma sinceramente non m’importa.
In uno zaino mi sono caricato tutta l’attrezzatura da moto, ho con me anche quella che chiamo l’attrezzatura da Elefanten: Maglioni, pile, guanti pesanti, sottoguanti, mutande di lana e calze di ghisa. Insomma ho tutto l’occorrente per tornare a casa facendo credere al mio corpo che ha viaggiato tra le vie di Honolulu e non le strade montane tra Piombino e Firenze.
Il clima non mi spaventa solo perchè non temo il freddo, no, sono anche completamente preso dall’idea di percorrere questi duecentocinquanta chilometri in sella a questa moto, al mio mono, che tanto vorrei si rivelasse la moto totale di cui sono alla ricerca.
Entriamo in Piombino e incredibilmente il Pullman si ferma davanti al concessionario. Questa non è l’unica cosa incredibile. Il Pullman s’è fermato esattamente davanti al concessionario che qualche mese fa mi aveva visto entrare nel suo locale incazzato come un pastore cui hanno appena rubato le pecore, quando al mio kappa nuovo s’era bruciato un cuscinetto della ruota posteriore.
All’epoca la gentile signora che mi aveva accolto, si fece in quattro per trovare un meccanico che mi potesse dare assistenza di Sabato pomeriggio.
Ero disperato, incazzato. I miei amici mi aspettavano a Follonica per un bellissimo giro ed io ero con un cuscinetto spappolato. Ce la fece, mi mandò da un meccanico tutto fare che mi mise un cuscinetto di un’Honda.
Entro nel negozio, mi riceve la signora dell’atra volta. Vedendomi con uno zaino e un casco in mano capisce che sono venuto a ritirare il Dierrezeta. Mi manda nell’altra sede, dove mi aspetta il meccanico per consegnarmi la moto. Vado. Il magazzino si trova vicino al porto, circa dieci minuti a piedi da dove mi trovo ora.
Mentre cammino e mi guardo attorno non posso non rendermi conto di quanto sia strategico questo paese nei confronti della mia recente storia motociclistica.
Quando comprai il Kappa, la mia prima e unica moto nuova, lo ritirai dal concessionario di Firenze, presi l’autostrada e venni qui per andare all’Elba. Quando le gomme dell’arancione transitarono sulla strada che sto percorrendo ora a piedi, avevano giusto i chilometri che separano Firenze da Piombino.
Poi ci fu la storia del cuscinetto e del concessionario da cui guarda caso ora sto andando a prendere una nuova moto. Quante coincidenze, sembra il Cammino di Santiago.
Ed eccomi al grande momento. Entro nel locale e mi accoglie una ragazza che manda subito il meccanico a prendere la mia moto. Lei mi chiede subito se sono così pazzo da voler riportare la moto a casa oggi, su due ruote. Io le dico chiaramente di si. Ci mancherebbe che carico la mia moto su un furgone.
Prima di uscire a toccare con mano la mia bimba devo respirare profondamente. Da un lato sono molto emozionato per l’acquisto, ma dall’altro faccio fatica a dimenticare di averla comprata praticamente alla cieca. Mi faccio forza ed esco.
Eccola. Piccola, gialla, ha delle gomme prive di tasselli. Il telaio senza un graffio, le plastiche perfette, lo scarico originale è senza un segno.
La moto ha novemila chilometri, ma sembra averli percorsi da ferma.
La piccola ha quasi quattro anni di vita, potrebbe averne combinate di tutti i colori, tutti i DRZ E che avevo valutato e che rientravano nel mio budget erano strausati, consunti, praticamente dei rottami.
Ne avevo vista una di un ragazzo di Milano che sembrava uscita da una scatola di montaggio, solo che sembrava montata accrocchiando i pezzi di vecchi scooter. Uno schifo. Questa in confronto sembra nuova, porta con se solo i segni del mare. La salsedine le ha opacizzato un pò alcune parti.
La luciderò per bene, la curerò riportandola allo splendore di quando è uscita dalla fabbrica.
Attendo con impazienza l’accensione. Eccola: brummm, un rumore cupo e pieno, molto pieno, pure troppo pieno per uno scarico originale. Guardo bene se c’è il fondello db-killer. Si, c’è, ben avvitato e lucido. Il vecchio proprietario l’aveva tolto e rimesso prima di rivendermela. Madonna che mezzo. Ma non m’arrestano con sto fucile? Bo.
E’ il momento di salirci in groppa e portarla a casa. Sono emozionato come al primo giorno di scuola. Mi metto l’attrezzatura da moto e parto. Sono troppo impaziente per perdere ancora tempo.
I primi metri con il Dierre sono devastanti. Ho i guanti pesanti e faccio una fatica bestia a dosare il gas. Mi ricordo d’aver provato la moto di Lucia e che il motore non reagiva così cattivo. Questa è decisamente ruvida, secca e nervosa, poi questo rumore proveniente dalla marmitta, al semaforo mi fa sentire come uno scippatore di borsette, mi inquieta, agitandomi ancora di più e facendomi fare delle partenze in stile lancio dello shuttle.
Ci metto almeno quindici minuti a capire come fare per non essere sbalzato via dalla sella ad ogni accelerazione.
Il manubrio mi pare abbia qualcosa che non va, mi sembra troppo rigido, e sono convinto che si muova a scatti. Penso che possano essere le gomme, sgonfie, vecchie e squadrate, ma dopo qualche prova temo siano i cuscinetti. Anzi sono convinto siano loro. Che sfiga.
Mi fermo subito al distributore fuori Piombino per fare un pò di benzina e quando sono solo con lei la guardo per bene, la tocco. Il nostro primo momento d’intimità è quindi all’area di servizio. Non dura molto, arriva un guardone, il gestore, che mi obbliga a spostarmi perchè gli intralcio il passaggio delle macchine.
Lo guardo male, gli faccio capire con la mia espressione che ha interrotto un qualcosa di importante, di intimo, come disturbare due amanti che si baciano.
Non mi metto a spiegargli la situazione, tanto non penso potrebbe mai capire, gli dico di farmi il pieno.
Riparto e mi godo finalmente i primi chilometri tranquillamente, cercando di capire come si muove la moto, se fa rumori strani, cercando di imparare a guidarla.
Provo una sensazione stranissima, sono abituato al peso dell’Africa che non è una piuma, questa invece mi sembra una libellula, sembra quasi non toccare l’asfalto. La paura di vibrazioni poco piacevoli dura pochissimo, è svanita nel nulla dopo i primi chilometri.
La sella, per quanto abbia sentito in giro pareri diversi: Chi dice che è una tavola di legno, chi dice che il sedere venga letteralmente spezzato in due dopo pochi chilometri, chi dice d’aver venduto la moto a causa delle emorroidi, chi usa cuscini di piumino d’oca per alleviare il dolore, insomma avevo una paura smodata di trovarmi senza le chiappe dopo pochi minuti, invece non mi da fastidio. È bella morbida e soprattutto dato il tipo di moto, ci si muove sopra evitando di farsi venire i crampi.
L’Africa, in confronto a questa motoretta è un Treno, a pari velocità sul DRZ senti il motore che lavora, che sprigiona cavalli, mentre l’Africa pompa tanto con la sua coppia e i suoi bassi corposi.
Festeggerò i primi quaranta chilometri percorsi con la Suzuki in una bella trattoria. Antipasto Toscano e Pappardelle al Cinghiale, per poi riprendere lentamente, molto lentamente verso nord.
Da qui verso Firenze saranno tutte curve per altri duecento chilometri.
Arriverò in città alle 19, parcheggio la moto nell’attesa di provarla domani pomeriggio, in fuoristrada, dopo aver cambiato le gomme.
Così faccio. Sabato mattina vado a smontare le Enduro 3 che mi hanno accompagnato fin qui. Dopo anni di orgoglioso servizio sul mio DRZ ormai queste gomme erano diventate di legno, infatti davo a loro la causa della poca sensibilità dell’anteriore. Le gomme non erano certo in buone condizioni, tuttavia a cerchio smontato m’accorgo che i cuscinetti sono proprio da smontare e cambiare.
Nel primo pomeriggio su Firenze s’è scatenato un nubifragio. Sono costretto a rimanere rinchiuso in casa, ascoltando tuoni e fulmini pensando al mio pomeriggio Enduristico sfumato. Ho un treno di gomme nuovo e una moto fresca di Concessionario sotto casa, tutto è pronto per provare il motore nel suo habitat naturale, Il fango, ma ogni tuono mi ricorda che è meglio rimanere in casa anzichè andar per boschi. Ogni lampo mi ricorda che una scossa di corrente che ti attraversa l’orecchio da una parte all’altra non ti fa certo bene.
Finalmente smette, sono le quattro circa, decido di andare da Alabastro, noto Endurista Toscano proprietario di una splendida Africa Twin alleggerita all’osso e di un KTM 300 2T. Chiaramente lui non sa nulla del mio ultimo acquisto.
 
Il Toscanaccio quando mi vede arrivare con questa piccola motoretta, non crede ai suoi occhi: ”Ma dov’è l’Africona, che ci fai qui con la moto di Lucia?”.
Io lo fermo subito: “Guarda bene, ma ti sembra la moto di Lucia questa?”. L’omone, la guarda bene, la studia, troppi pochi segni, manca un serbatoione, mancano gli adesivi da truzza, la sella è più alta di qualche centimetro. Alla fine è costretto ad ammettere: “Non’è la sua, bastardo ti sei comprato un DRZ.”
Quasi a voler dire: “Ah, ti sei comprato il DR e mo ti sistemo io”, mi indica una mulattiera per aggirare un pezzo del giro che voglio fare.
L’ultima volta che Albastro ci consigliò una taglio di percorso io e Lucia passammo quaranta minuti a smarmittare sulle pietre cercando di oltrepassare degli ostacoli.
Entrammo in quella mulattiera con la gomma nuova e freschi come le rose. Quando ne vedemmo la fine, raggiungendo quindi il percorso che volevamo fare inizialmente: le gomme erano finite, le forze anche e i vestiti zuppi di sudore.
Io gli chiedo più volte come sia questo passaggio, lui mi risponde in maniera sufficiente: “Ma si, con quella vai ovunque … sulle pietre, op op oooopp, un colpo di Gas se sui.”.
Ok, vado. So già che avendo accettato di percorrere il pezzo suggeritomi da Alabastro mi sono praticamente ficcato da solo nella merda. Ma che ci volete fare, sono così, ho comprato una moto alla cieca, posso tirarmi indietro, quando un’amico mi consiglia un bel tratto di enduro da percorrere col motore nuovo?
Già per trovare l’imbocco del percorso ci impiego un pò chiaramente i sentiero è tanto imboscato quanto bastardo. Ci provo: sono impacciatissimo, non trovo nulla sotto le gambe da stringere, il manubrio è bassisimo, il motore mi scalcia ovunque perché devo ancora capire come cavolo dosare il gas. Dopo i primi due passaggi rocciosi ci capisco qualcosa, però avanzo in modo goffissimo e lento. Se avessi avuto l’Africa sotto il culo forse sarei già su, invece zampetto, scalcio e impreco, ma in realtà, rido della mia inesperienza con questo mono che sulla carta dovrebbe poter scalare l’Everest. Lei potrebbe farlo, anche da sola, ma io sono una capra, sono io l’ostacolo al suo avanzamento. In futuro dovrò imparare, per ora mi devo fermare a pensare. Sono davanti ad un gradone, faccio mente locale su quanto ha detto Alabastro: ”Op, op gaS ecc.ecc.” ma chiaramente non funziona e la moto si ferma in salita. Sgaso da paura pensando ai centoquaranta euri spesi per le gomme nuove.
La mulattiera da bagnata si rivela essere un vero casino. Lo sapevo. Io ci provo ma all’ultimo pietrone mi fermo e devo scendere dalla moto per spingerla. È talmente viscido che faccio fatica a stare in piedi. Sposto la moto indietro buttandola in terra e la giro verso valle. Quando ci risalgo con l’idea di tornare indietro mi fermo.
No, non posso rinunciare, devo riprovare. Rigiro la moto: ”Op, Op, viaaaaaaaa”. Quando è il momento d’aprire la manetta io mi cago letteralmente addosso parzializzando il gas fino a quasi chiuderlo totalmente nella speranza di rimanere in piedi. Ma così non è, cado inesorabilmente lanciado il “mutur” a terra.
Decido di desistere. Ci tornerò, ma non oggi. È sempre più buio, comincio a temere che il mio test in fuoristrada debba essere rimandato e la cosa non mi piace per nulla. Non rinuncio e prendo la strada conosciuta. Alla fine arriverò nel piccolo percorso tortuoso e estremamente infangato che volevo percorrere inizialmente, ma naturalmente ci arriverò al buio, stanco come un somaro e sudato come una latrina.
La mia gita in questo luogo durerà circa una mezz’oretta. Ormai sono circa le 19, è buio pesto, ma lo spettacolo di Firenze illuminata a festa di cui si può godere da questo tratto di collina merita appieno la fatica fatta per arrivare fin qui.
Torno a casa: sono felice come una pasqua. Non ho percorso il tratto impestato suggeritomi da Alabastro ma lo farò. Ho guidato e mi sono divertito nei primi metri in fuoristrada smaialando per bene la moto. Mi sono divertito da morire. Bene, ho capito che per ora con questo DRZ non sono capace di andare dove vanno gli uomini duri, ma dove godono i maiali sono perfettamente a mio agio.

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